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In Colombia nessuno si stupisce dell’incredibile: il quotidiano è intriso di magia e la magia è una dimensione della realtà. Qui è nato Gabriel García Márquez, padre del realismo magico, qui sono ambientate le sue narrazioni di bellezza surreale, di amori melodrammatici, di situazioni grottesche, in cui piccoli accadimenti miracolosi sono motore della storia umana. In Colombia, terra di monti e vulcani, di Amazzonia, di deserto e di mari tanto diversi fra loro, quello dei Caraibi e l’Oceano Pacifico, il soprannaturale affiora nelle forme della natura. Sarà perché la natura si esprime in maniera tanto bizzarra da abituare lo sguardo, sarà perché le antiche tradizioni indigene sono ancora tessuto fra le generazioni: qui Il fantastico non ha bisogno di una spiegazione.
Il tuo sguardo si perde nei cieli sopra la Valle del Cocora, se risali con gli occhi lungo il fusto slanciato delle esili palme de cera, spropositatamente alte, e nel labirintico deserto de la Tatacoa l’erosione ti permette di sentirti un gigante che cammina fra minuscole catene montuose di color rosso vivo o di incontrare terrei fantasmi di pietra.
Puoi veder scorrere un arcobaleno liquido, poi, nel Parque Nacional Natural Serranía de La Macarena, a Sud di Bogotà: le acque limpidissime del Caño Cristales, detto “fiume dei cinque colori”, gorgogliano fra le rocce formando cascate e piscine naturali, accarezzando alghe che nei nostri mesi estivi lo dipingono di magenta, di giallo, di viola, verde e blu elettrico. Oppure puoi navigare su un prato verdissimo, fendendo con la tua canoa i giganteschi dischi delle foglie dei fiori di loto che galleggiano sul Rio delle Amazzoni, al confine con Brasile e Perù, nei pressi di Leticia.
Le due insenature gemelle di Cabo San Juan, nel Parco Nazionale di Tayrona, sembrano un capriccio di qualche divinità eccentrica, così come la Piedra del Peñol, un enorme monolite che sembra conficcato nel verde di boschi e campagna, come fosse stato scagliato da un gigante indispettito.
E se la natura in Colombia è tanto surreale, non stupirti se l’uomo, nelle sue opere, dimostra una fantasia capace di eguagliarla.
Così, un rocambolesco zigzag di 700 gradini ti consente di raggiungere la sommità della di cui sopra Piedra del Peñol. Se sali senza alzare lo sguardo dai tuoi piedi, una volta in cima lo spettacolo è ancora più incredibile: tutto intorno a te, il bacino di Guatapé, una distesa ramificata d’acqua delimitata da coste frastagliate che un tempo erano valli, punteggiata da isolotti che un tempo erano colline, frutto di una inondazione artificiale a scopi idroelettrici.
La stessa immaginazione è stata impiegata per connettere con la città il barrio popolare di Comuna 13, intrico di stradine tortuose e di abitazioni affastellate che domina Medellin dalle alture che la abbracciano. Costituiva una sorta di zona franca per il suo isolamento, regno arroccato di Pablo Escobar e trincea per le FARC, le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, ed è stato strappato all’emarginazione e al degrado con un serpentone di scale mobili che si inerpica sul fianco della montagna.
Allo stesso modo, con un guizzo di inventiva, sono stati tirati 6,3 chilometri di cavi aerei per consentirti di ammirare il maestoso canyon del Chicamocha, uno dei più grandi del mondo, profondo fino a duemila metri. Una sfida per la fantasia che compete con la catedral de Sal, a 180 metri sotto terra, nelle viscere delle miniere di Zipaquirá: gallerie e spazi monumentali sono stati plasmati con uno scavo che ha rimosso 250.000 tonnellate di salgemma e con una illuminazione che proietta su questi spazi un alone quasi fantascientifico.
Pensa poi alle figure piene, tondeggianti, di Botero, uno dei maggiori rappresentanti dell’arte e dell’immaginario colombiano. I suoi corpi voluminosi, dilatati, eppure tanto leggeri, non pretendono di essere realistici: semplicemente, trasmettono serenità. Le stesse forme floride le trovi nel parco archeologico di San Agustìn, patrimonio UNESCO: l’immaginazione della misteriosa civiltà precolombiana che abitava quest’area rappresenta un’aquila che stringe un serpente nel becco non tanto come simbolo di rapace aggressività, ma come un tenero pulcinotto che sembra essere zampettato fuori da un libro per bambini.
Solo i Colombiani non si sorprendono della dimensione magica della realtà. L’immaginazione, anzi, è una lente con cui i Colombiani interpretano ciò che li circonda. L’unico modo per non sentirti spaesato, l’unico modo per vivere appieno la Colombia è che anche tu creda alla magia.
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